LA STAZIONE DEL PUNKABBESTIA
Ha detto “finalmente un luogo in cui poter vivere”, il giorno che scese alla stazione della mia città, e da quel giorno non se ne andò più. Nella nostra stazione ha trovato tutto quello che uno come lui avrebbe voluto trovare. Decine di bottiglie di plastica, sporcizia e cartacce in ogni dove, che non raccolse, giacché lasciate lì per terra e lungo i binari gli davano un’idea di disordine che i poveri punkabbestia come lui non riescono più a trovare in altri luoghi, di questa civiltà così troppo ordinata per i loro gusti. Molto apprezzò, anche, le foglie e i rami, abbondantemente accumulati sotto la palma, che potevano anche essere un buon giaciglio per le sue ossa infracidate. E bastò dare uno sguardo a quello che una volta era stato il giardino della “stazione campagna”, oggi di città, e ha trovato tutto come lui aveva sempre desiderato, il degrado che lo scorrere degli anni e l’incuria dell’uomo gli avevano fatto trovare non si poteva non apprezzare. Né poté ignorare che i panni, svestiti da una famiglia di “Rom” e lasciati così, in un angolo dello spiazzo con le bordure disaggregate, avevano il giusto odore e potevano essere utilizzati in caso di bisogno. Tutto egli apprezzò, finanche le scritte sui muri della “sua” stazione e non gli interessava nemmeno di sapere che fossero quasi tutte inneggianti al nazismo; a lui interessava solo il loro contributo dato allo scompiglio che deve regnare in un luogo finalmente vivibile per un punkabbestia.
Quando poi vide il via vai di bestioline dai binari al vecchio deposito dei pacchi, se ne uscì con un “uaho!”, avendo trovato finalmente cibo per il suo cane e, perché no?, anche per sé, all’occorrenza.
Solo ha avuto da ridire dei bagni, sventrati sì, ma pure senz’acqua. Non certamente perché avrebbe voluto lavare l’unto a più strati dal proprio corpo - il semplice pensiero lo faceva rabbrividire - ma perché, vivaddio!, anche un punkabbestia ha bisogno di bere per pisciare.